Quando gli idioti sono gli altri

In ritardo, scrivo il mio modesto parere sull’unica opera, postuma, di John Kennedy Toole. Personaggio stravagante e tragico, morì suicida ancora giovane. È forse lecito vedere Una banda di idioti (A Confederacy of Dunces, 1980) come una sorta di summa della sua visione della vita? Chi lo sa. Di certo è uno strano romanzo, pungente e sarcastico, leggero solo in apparenza, e che all’inizio lascia disorientati di fronte alla stramba, ingombrante figura del protagonista Ignatius Reilly.

Avevo letto le prime cento pagine nel settembre del 2019 e la mia reazione non era stata molto positiva: procedevo strascicando. Mi ero perfino chiesta perché mi fosse venuto in mente di comprare questo libro. Entrare in sintonia con Ignatius, “uno straordinario sciattone, un Oliver Hardy impazzito, un Don Chisciotte ingrassato, un Tommaso d’Aquino perverso, il tutto allo stesso tempo” secondo la prefazione di Walker Percy alla prima edizione, non è stata un’impresa facile. La dimensione del romanzo è talmente grottesca da sfociare spesso nel surreale, e sia la visione del mondo sia il modo di vivere di questo personaggio in certi momenti lasciano davvero spiazzato il lettore. In quelle prime cento pagine, o in quei primi 4 o 5 capitoli, avevo avuto la sensazione di avere a che fare con un sarcasmo così caricato, con un’assurdità così roboante da mollare il libro. Non ero neanche sicura di volerlo continuare.

Così ho lasciato passare tre mesi. E ho fatto bene. Negli ultimi giorni del dicembre 2019, che ora possiamo definire come gli ultimi giorni di vita normale (l’ultimo Natale con la famiglia), l’ho ripreso da dove l’avevo interrotto. E così ho seguito le picaresche avventure di Ignatius, un vero e proprio antieroe che sembra una parodia dell’intellettuale. È, in effetti, un tipo molto pedante e apparentemente puritano, che disprezza (o sostiene di disprezzare) in massimo grado la cultura pop, al punto da andare al cinema solo per lamentarsi della pessima qualità dei film. Ma ha un’autentica venerazione per la filosofia medievale e soprattutto per Boezio. La struttura stessa di Una banda di idioti imita il De Consolatione Philosophiae, con capitoli divisi ulteriormente in sottocapitoli, spesso interrotti dai suoi appunti e dalle lettere che scrive o riceve. Ignatius è convinto che la dea Fortuna abbia deciso di farlo girare in basso nella ruota della vita e che ciò sia ingiusto, in quanto si considera un genio incompreso. Del resto, il titolo del romanzo è ispirato a un epigramma di Swift: “When a true genius appears in the world, you may know him by this sign, that the dunces are all in confederacy against him.”, ovvero: “Quando viene al mondo un genio autentico, lo si può riconoscere dal fatto che gli idioti sono tutti coalizzati contro di lui.” In tutto questo non si rende conto di quanto la madre Irene, peraltro alcolizzata, fatichi a mandare avanti la loro scalcagnata abitazione. Anzi, le attribuisce ogni colpa e non si preoccupa minimamente della sua salute – neanche della propria, considerato il consumo bulimico di cibo spazzatura. Normalmente non lavora, ma spronato dalla madre si lancia in alcuni impieghi con risultati a dir poco disastrosi: prima in una fabbrica di pantaloni sull’orlo del fallimento, circondato da colleghi bislacchi quanto lui, e poi vendendo hot dog per strada (occupazioni a cui si era dedicato lo stesso Toole). Ossessionato dall’assenza di “teologia e geometria” nel mondo, pur di scardinare una contemporaneità e un progresso che critica, ma che in fondo non disprezza, sembra perfino pronto ad appoggiare iniziative strampalate, poco credibili e stridenti con la sua personalità.

Le vicende di Ignatius si svolgono a New Orleans. Questa è stata una grande novità per me, nel mio piccolo, perché non mi ero mai imbattuta prima di allora in romanzi ambientati in questa città… la vecchia Nouvelle Orléans di cui ormai resta poco di francese, se si escludono alcuni cognomi e la toponomastica, anche se negli ultimi anni è in corso un revival creolo e cajun (per esempio, nella gastronomia e nella musica); in fin dei conti, il Mardi Gras non è mai morto (prima della pandemia, beninteso). Ho addirittura scoperto che la Louisiana nel 2018 è entrata a far parte della Francophonie (un po’ l’equivalente francese del Commonwealth), sebbene, in realtà, le varietà locali di francese e le lingue creole stiano vivendo da molti decenni un inesorabile declino. Ma torniamo a noi.

Il nostro è attorniato da una sgangherata ciurma di personaggi, in cui si rispecchiano molte criticità della società statunitense: la già citata Irene; il signor Robichaux, paranoico pensionato anticomunista; l’agente Angelo Mancuso subissato di angherie dal capo, e sua madre Sandra Battaglia, amica della madre di Ignatius; Burma Jones, forse il personaggio più simpatico, un afroamericano sfruttato e ricattato dalla datrice di lavoro Lana Lee, proprietaria di uno strip club e persona non proprio specchiata; la famiglia Levy, di origine ebraica, proprietaria della fabbrica di pantaloni; la decrepita signorina Trixie, che vorrebbe solo andare in pensione ma è tenuta in azienda dalla signora Levy, la quale ritiene di essere la sola capace di mantenerla motivata sfruttando in modo fallimentare le poche e insulse nozioni di un corso di psicologia per corrispondenza; la beatnik Myrna Minkoff, in un certo senso la nemesi di Ignatius benché sia evidente un’attrazione reciproca, per quanto sui generis, e tanti altri…

In conclusione, passato lo scoglio delle prime cento pagine, al netto di qualche assurdità un po’ pretestuosa si ridacchia spesso e volentieri, a volte con una certa amarezza. Romanzo lontano dal politicamente corretto, in esso tutte le categorie sociali sono criticate pesantemente con le armi della satira; Burma Jones è il personaggio che mi è piaciuto di più, il più saggio in tutto quello sgangherato campionario umano. Ignatius ci sta antipatico perché il rischio di diventare come lui è sempre ben presente: quando ci arrocchiamo sulle nostre posizioni senza sforzarci di capire gli altri, quando pensiamo che gli idioti siano gli altri. Quando, in realtà, dovremmo capire che spesso gli idioti siamo proprio noi.

3/5

B.B.

La notte

Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.

Mai dimenticherò quel fumo.

Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.

Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede.

Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.

Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.

Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.

(pag. 35)