Manoscritto respinto: Cleo

Cleo

 

«Non prenderemo un gattino» dissi, seguendo con la mia station wagon una curva che sembrava una specie di nodo. «Stiamo andando soltanto a dargli un’occhiata.»

[Incipit dall’edizione attualmente in mio possesso, priva del nome del traduttore o della traduttrice…]

 

Care amiche, cari amici,

È con diversi anni di ritardo che mi accingo a scrivere la mia opinione su uno dei libri peggiori che abbia mai letto, Cleo di Helen Brown. Premetto che non sono avvezza a esprimere critiche pesanti. In questo settore ci sono persone più pratiche di me. Ammetto di avere letto o visto alcune loro (video)recensioni e in certi casi mi hanno fatto ridere. Non comprendo, però, perché costoro si intestardiscano a leggere e “stroncare” opere che non credo si azzarderebbero ad aprire di loro spontanea volontà. Forse perché la loro folta platea richiede questo tipo di contenuti, forse è spirito masochistico. Ho come la sensazione che la “stroncatura” sia diventata un genere di intrattenimento a sé stante, e come tale, sinceramente, mi ha stufato. Comunque, ciò che desidero farvi capire è che mi sono imbattuta in questo libro per caso. E sento la necessità di parlarne perché voglio capire se sono io il problema o no. Ci tengo a puntualizzare che apprezzo le buone intenzioni di chi me l’ha regalato: non è colpa sua.

L’ho letto molto tempo fa, ma il disappunto è ancora vivido. Avrete sicuramente intuito che non si tratta di alta letteratura. Non l’ho mai pensato, e credo neanche l’autrice. Ciò non significa che non si possano pubblicare libri commerciali piacevoli, sebbene non impegnativi. Noi cosiddette “persone normali” non leggiamo volumi “di spessore” tutti i santi giorni! Tuttavia, Cleo non ha rispettato questo semplice parametro, almeno dal mio punto di vista. Prima di tutto, però, vi spiego in sintesi di cosa parla. O meglio, di cosa vorrebbe parlare.

L’autrice nonché voce narrante ci assicura che questa vicenda è vera perché l’ha vissuta in prima persona. La protagonista dovrebbe essere, come si evince dal titolo, una gatta di nome Cleo. Nata in una cucciolata di una conoscente di Helen, è fortemente desiderata da Sam, il maggiore dei suoi due figli. Ma qui si inserisce la tragedia: proprio poco prima dell’arrivo della gattina, il bambino muore investito da un’auto. Le conseguenze sulla famiglia saranno, almeno all’inizio, terribili, e porteranno alla separazione dei genitori. Ma, nonostante tutto, c’è Cleo a lenire il dolore di Helen e di Rob, il figlio minore. Sia chiaro fin da subito, non sto giudicando l’autrice e la sua sofferenza, per i quali ho il massimo rispetto. Ci mancherebbe altro. Sto commentando negativamente la sua opera.

Prima di tutto, un libro su un gatto per definizione dovrebbe ruotare intorno a un gatto. La scoperta dell’acqua calda, penserete voi. Purtroppo, non è questo il caso: la povera micia, che del resto è l’unico personaggio simpatico, è una comparsa. Il contenuto non è coerente con il titolo: più che la storia del rapporto tra un felino domestico e un essere umano, pare l’autobiografia dell’autrice condita dalla presenza di questo animale. Cleo sembra solo un pretesto per scrivere stupidaggini pseudo New Age sui poteri e le virtù, in larga misura fantomatici, che gli umani tendono ad attribuire ai membri della sua specie. Gli esempi sono innumerevoli: “Un gatto ascolta con attenzione ogni storia, che l’abbia già sentita o no”, “Niente è più umido e magico del bacio di un gatto”, “Una gatta è una sacerdotessa in pelliccia”, “Un gatto saggio evita le reazioni emotive e osserva senza giudicare”, “I gatti sono disposti ad accettare il fatto che le persone apprendono lentamente”, “C’è un solo nome adatto per un gatto: Sua Maestà”, e molti altri. Ogni capitolo si apre con una frasetta del genere… Immagino che nella realtà Helen abbia trovato Cleo di conforto, tuttavia ciò non toglie che l’umanizzazione degli animali espressa nel suo libro sia in ultima analisi sbagliata. È un processo inconsapevole che ci riguarda tutti, ma che può essere controllato. Qui viene portato all’apice in maniera non solo conscia, ma celebrativa, trasmettendo un messaggio potenzialmente dannoso. Che ci piaccia o no, non possiamo giudicare gli animali con parametri umani, e viceversa.

Come ho scritto prima, Cleo è in sostanza l’autobiografia, sotto forma di simil-articoli di blog, della donna “salvata” dalla gatta. Gli elementi che non c’entrano nulla con la supposta protagonista della vicenda si moltiplicano, oserei dire che sono la maggioranza. Se si esclude la morte di Sam, la vita di Helen, da come è scritta, l’ho trovata decisamente poco interessante. E nella seconda metà del libro potrebbe tranquillamente essere riciclata come trama da chick lit. Il risultato finale è un malriuscito connubio di tragedia familiare, delirio, pseudo aforismi e capitoletti che sono una brutta copia de Il diario di Bridget Jones.

L’unico motivo per cui un editore abbia potuto decidere di pubblicarlo, a mio avviso, è semplicemente l’idea del micio che allevia il dolore umano. Cosa non si fa pur di attirare l’attenzione dei gattari con un debole per le storie strappalacrime… Mi dispiace ammetterlo, ma non ho versato alcuna lacrima. Anzi, mi sono piuttosto innervosita.

In conclusione, se cercate un libro sui gatti, non ve lo suggerisco.

N.B. Poiché non amo criticare per il solo gusto di farlo, mi sento di consigliarvi, nel caso non lo conosciate già, L’anello di re Salomone di Konrad Lorenz. Benché non tratti nello specifico di gatti, vi assicuro che il comportamento animale è molto più appassionante raccontato con rigore scientifico dal padre fondatore dell’etologia piuttosto che con melense spaginate pseudo mistiche. Il tutto evitando il più possibile di umanizzare gli altri esseri viventi. E resta una bellissima storia vera.

 

B.B.

 

1/5