L’isola che non c’è

In tempi come questi, sempre più simili a un romanzo distopico, leggere un’utopia è un atto rivoluzionario. Un’azione che, per quanto destabilizzante sia per il singolo lettore, può essere confortante o sconfortante. O forse entrambi. Confortante, perché ci fa intuire che un futuro migliore per tutti (per gli esseri umani, per gli animali, per l’ambiente) è pensabile, e forse anche realizzabile. Sconfortante, perché a leggerne una ci si rende conto di quanta strada ci sia ancora da fare, e ci si chiede se saremo mai in grado di tagliare davvero i ponti con modi di pensare e di vivere deleteri che, tuttavia, continuano a essere ben presenti nella nostra quotidianità e nelle vite delle nazioni.

Aldous Huxley, intellettuale e scrittore britannico già noto per il distopico Il mondo nuovo (Brave New World, 1932), ci consegna, trent’anni più tardi, L’isola (Island), in cui spiega la sua concezione di società utopica. Pala è l’isola del titolo, un luogo proibito situato nell’Oceano Indiano, un’oasi di pace in cui la commistione di scienza occidentale e di religioni e filosofie orientali assicura felicità e benessere. Si tratta di un ben-essere autentico, lontano dal capitalismo e dal consumismo occidentali, in quanto l’isola produce solo quello di cui i suoi abitanti hanno davvero bisogno. Pertanto, la sua economia è al servizio delle persone, non viceversa. È lontano anche dal comunismo, poiché gli organi di governo servono le persone, non sono le persone a servire uno stato (o un partito che coincide con lo stato). Un giornalista, William Asquith “Will” Farnaby, alle dipendenze di un magnate dell’editoria e del petrolio, naufraga di proposito sull’isola per cercare di ottenere concessioni petrolifere dalle autorità locali. Pala, infatti, non è disposta a cedere il proprio petrolio, che usa con parsimonia per impieghi civili, a nessuno. Riuscirà l’isola a resistere?

Questo libro ha meno di 300 pagine, ma è molto denso in termini contenutistici: parla di società, famiglia, scuola, politica, religione, scienza, psicologia e psichedelia (negli ultimi anni della sua vita, Huxley si era interessato di misticismo orientale e allucinogeni). Diversi passaggi, specie quelli che mettono a confronto i pilastri della cultura di Pala, il cristianesimo (in particolare quello protestante) e le ideologie del Novecento, sono molto interessanti. La trama è praticamente assente, mentre i dialoghi sono in buona sostanza dei pretesti per spiegare il funzionamento della società. I personaggi, a parte forse il cinico protagonista, sono quasi intercambiabili. La scrittura mi è parsa abbastanza ripetitiva: i medesimi concetti tornano più e più volte.

Di sicuro non lo consiglio se cercate un intreccio avvincente. Ma se volete immergervi nella descrizione di un’altra società/cultura, seppur fittizia, o se desiderate vedere in uno specchio il generale marciume che corrompe il nostro pianeta, è un buon libro, sebbene l’etichetta “romanzo” mi sembri un po’ fuorviante. Lo stesso concetto di “utopia” come genere narrativo mi pare non sia del tutto compatibile con un intreccio. Forse Huxley sarebbe stato meno ripetitivo se avesse scritto un saggio.

3/5

B.B.

P.S. Per il mio commento sul Mondo nuovo, per quanto datato (il mio primo articolo pubblicato sul blog!), cliccate su questo link: https://bigbookwormblog.wordpress.com/2017/07/17/oh-mirabile-mondo-nuovo-considerazioni-a-cura-di-b-b/