Il signor Congiuntivo

La congiuntura del congiuntivo

 

L’alone sacro da cui è avvolto il congiuntivo non è un riflesso di quello che “significa” ma di quello che “rappresenta”. E il congiuntivo, nel nostro Paese, rappresenta una specie di patente nobile del buon parlare, di lasciapassare sociale che permette di riconoscere immediatamente il milieu intellettuale delle persone dalle desinenze che usano.”

 

Una brevissima ma illuminata riflessione sul ruolo del congiuntivo nella lingua italiana contemporanea.

Generalmente bistrattato nella conversazione, non si può però negare la necessità del suo corretto impiego nei documenti scritti, ed è quindi giusto che le scuole insistano su questo aspetto.
L’autore rileva anche come il congiuntivo (vedi il passaggio citato in alto) venga usato non tanto per quello che “significa” (il modo dell’incertezza e della soggettività: dubbio, possibilità, augurio, speranza, valutazione od opinione etc., preceduto da appositi verbi o congiunzioni), quanto per quello che “rappresenta” (un supposto simbolo di status sociale medio-alto/alto). Da qui deriva talvolta una tendenza all’ipercorrettismo, per esempio in alcune subordinate temporali: mentre “prima che + congiuntivo” è corretto, “dopo che + congiuntivo” non lo è (almeno, a istinto mi suona male). Per non parlare, a volte, di coniugazioni sbagliate, come nel famoso episodio di Fantozzi:
“Allora ragioniere che fa, batti?”
“Ma, mi da del tu?”
“No no, dicevo: batti lei?”
“Ah, congiuntivo!”

Degna di nota è anche la questione dei verba cogitandi o “verbi di pensiero”. Le grammatiche di norma sostengono l’uso del congiuntivo dopo questi verbi, e non dell’indicativo presente o futuro. De Benedetti evidenzia l’arbitrarietà di tale regola con un esempio che mi sembra efficace: “Credo che Dio esista” vs “Credo che Dio esiste”. Non viene considerata la differenza semantica tra le due accezioni del verbo “credere”. “Credere + congiuntivo” contiene un seme di dubbio, “Credere + indicativo” esprime, invece, una credenza di cui il locutore è sicuro. Sarebbe in effetti un po’ buffo sentire un credente convinto dire: “Credo che Dio esista”. Si potrebbe fare anche l’operazione inversa. “Credo che Dio non esista” denota ancora scetticismo: la possiamo udire da una persona che già tende ad avere dubbi sull’esistenza di Dio, ma che non è del tutto certa della sua assenza. “Credo che Dio non esiste”, al contrario, è un enunciato che potrebbe essere espresso da un ateo sicuro di avere ragione.

Ci sarebbero altre considerazioni interessanti, ma non voglio certo riscrivere il libretto! Pertanto, vi consiglio di leggerlo (e-book che si trova tranquillamente su MLOL).

Morale della favola: le regole vanno prese con le pinze. Se vi è una discrepanza tra le regole e i significati, occorre riflettere e non prendere la grammatica per oro colato. Nella lingua non vi è nulla di giusto o sbagliato in senso assoluto, ma solo nel contesto.

P.S. “Nonostante non ho…” non si può sentire!

 

B.B.

 

4/5