Ma gli umani sognano pecore vive?

(Originariamente pubblicato su Goodreds il 23/09/2022)

Di certo, Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (Do Androids Dream of Electric Sheep?, 1968) mi è piaciuto di più della Svastica sul sole (noto anche come L’uomo nell’alto castello, titolo più fedele a quello originale). Ammetto di aver visto il film poco prima di leggere il libro; tuttavia, per molti aspetti si tratta di cose diverse. Non so se si completino a vicenda; piuttosto, penso che vedano la stessa azione (anche se con parecchie differenze nell’intreccio) da prospettive differenti.

La differenza radicale, della quale derivano tutte le altre, è semplice: gli androidi sono assimilabili agli esseri umani o no? Per Philip K. Dick, no, mentre per Ridley Scott sì. Nel libro si fa molto riferimento all’assenza di empatia come loro tratto caratteristico. Si dice più volte che il loro ragionare appare astratto e freddo. Possono essere scambiati per umani soprattutto per via della somiglianza fisica e per l’intelligenza che in superficie è equiparabile a quella umana. Ma, in realtà, di umano c’è poco, perché anche la loro cattiveria è troppo calcolatrice (si veda il passaggio, abbastanza agghiacciante, del ragno). Nel film, questa visione è ribaltata, al punto che gli androidi ormai sono più umani degli umani. Quel che non cambia tra le due versioni è che gli umani sono sempre più simili a robot. Nel libro, poi, è particolarmente evidente dal fatto che Deckard e la moglie, e tutti coloro che hanno denaro sufficiente, programmano il proprio umore con una macchina apposita. Come non pensare a chi ha scritto di robot umanoidi in una maniera vistosamente diversa, ossia ad Isaac Asimov? Di certo, la sua concezione dell’androide è più simile a quella di Scott che a quella di PKD: R. Daneel Olivaw, il robot-poliziotto, appare più umano della sua controparte Homo sapiens, Elijah Bailey. O ancora, l’obbedienza alla Prima Legge della Robotica appare molto vicina all’amore umano nel racconto “Consolazione garantita”. Per non parlare del protagonista del commovente “L’uomo bicentenario”, che dopo appunto due secoli riesce a essere ammesso nel consorzio umano. I due scrittori e il regista concordano sull’involuzione dell’umano nel robotico, mentre lo stesso non si può dire riguardo all’evoluzione che avviene in senso contrario.

Anche nello stile Asimov e PKD non potrebbero essere più diversi: da un lato la chiarezza del rigore espositivo, anche se forse a volte è un po’ troppo didascalico; dall’altro l’incoerenza, la confusione e la ridondanza personificate. Esse, però, sono sintomi evidenti delle diverse sensibilità e tematiche degli autori. Da una parte la semplicità e la chiarezza che segnalano ottimismo nel progresso; dall’altra, la paranoia e le ossessioni di chi a questo progresso non crede, di chi nel futuro vede l’incubo in cui il vero e il falso non esistono più, in cui qualsiasi vivente può essere replicato.

Un aspetto importante che PKD inserisce nel romanzo è quello mistico, che appare molto legato a una sorta di realtà aumentata. Esiste, infatti, una specie di religione chiamata “Mercerianesimo”, dal nome del fondatore, tale Wilbur Mercer, che cammina su una collina e viene colpito da pietre. Chiunque può collegarsi con lui (o con la sua figura?) tramite una “scatola empatica” e camminare ed essere colpito da pietre, anche se si è distanti da quella collina; per la verità, non si sa neanche se esista sul serio. Il confine tra religione e truffa appare molto labile.

A robot umanoidi così avanzati non siamo arrivati. Per ora, neanche a truffe o culti basati sulla realtà aumentata o virtuale. In compenso, il Web ha ampiamente contribuito a creare dei veri e propri mondi paralleli dove la realtà non si sa neanche più cosa sia. Il guaio è che poi il virtuale reale lo diventa. Come vedremo, temo, il 25 settembre.

4/5

B.B.

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