Società, isole e scienziati pazzi

L’isola del dottor Moreau, la prima opera che leggo di H.G. Wells, pubblicata nel 1896, mi è piaciuta, ma non mi ha entusiasmato. Forse è troppo forte in me l’eco di Frankenstein, al quale, pur tenendo a mente le numerose differenze, tendo a confrontarla. Il punto in comune principale è la presenza dello scienziato pazzo. Però il capolavoro di Mary Wollstonecraft Shelley possiede una dimensione introspettiva completamente assente in Wells, e contiene riferimenti molto potenti a quella che l’autrice considerava la “colpa” della sua vita, la morte di parto della madre.

Il romanzo breve di Wells, per contro, si concentra di più sull’aspetto horror e su una dimensione satirica: Moreau, lo scienziato pazzo, descritto in più occasioni come un vecchio dai capelli bianchi che impone la propria Legge alle sue Creature, gli Uomini Bestia… Non a caso, l’autore stesso definì L’isola del dottor Moreau ‘an exercise in youthful blasphemy’ (Introduzione a The Scientific Romances of H.G. Wells, 1933). Non solo: è anche una critica sociale, in quanto il protagonista Prendick si renderà conto che tra gli Uomini Bestia e gli uomini veri non c’è poi così tanta differenza. Moreau, infatti, viviseziona animali modellandoli il più possibile a immagine e somiglianza dell’uomo e su questi poveri esseri impone la sua Legge, avente come fine l’eliminazione degli istinti. Wells sembra chiederci quanta differenza ci sia tra gli Uomini Bestia e gli uomini veri, soggiogati da una morale eccessiva (tra l’altro siamo in epoca tardo-vittoriana).
Mi sarebbe parso più intuitivo condurre esperimenti su degli esseri umani per eliminarne gli istinti piuttosto che imporre linguaggio e morale umani a degli animali. Tuttavia, Moreau non è disposto a rapire degli umani vivi, né è in grado di infondere la vita ai cadaveri, come Victor Frankenstein.

Degna di nota è la raffigurazione dell’isolamento dello scienziato pazzo su un’isola tropicale disabitata. L’isola, in questa come in tante altre opere, diventa un non-luogo, lontano dal consorzio umano, dove l’impossibile (o perlomeno quello che appare impossibile) può diventare possibile. Nel bene come nel male. Ma anche qui ci potremmo chiedere: l’isola con i suoi Uomini Bestia non ricorda, almeno in qualche misura, la Gran Bretagna e la sua società dell’epoca?

Sicuramente è stata una lettura interessante ma, forse anche perché è di sole 120 pagine, lo sviluppo delle tematiche principali non mi è sembrato completo.

B.B.